Antonio di Gennaro, Repubblica Napoli 24 febbraio 2023

E’ evidente che la scelta tra la “restanza”, come l’ha chiamata l’antropologo Vito Teti, e il cercare altrove le proprie opportunità di vita e lavoro, non è sindacabile, attiene alla sfera sacrosanta delle libertà personali. E’ altrettanto vero però che a scala macro il discorso cambia, un territorio che perde i suoi abitanti un problema ce l’ha, una riflessione è obbligato a farla.

Da questo punto di vista l’ultimo rapporto ISTAT sulle migrazioni, ne ha parlato Bianca De Fazio di recente sulle pagine di questo giornale, offre uno scenario assai preoccupante per il Sud Italia, che perde nell’ultimo decennio 525mila residenti, come saldo tra un milione e 138mila partenze e 613mila arrivi. Maglia nera la Campania che da sola contribuisce per il 30% alle cancellazioni, mentre la provincia italiana che perde più abitanti in assoluto è quella di Napoli, con 17mila partenze.

Stiamo parlando evidentemente di migrazioni interne, di persone che lasciano il Mezzogiorno per le regioni del Nord, la Lombardia prima fra tutte. In questo modo il Sud Italia aiuta il Nord a compensare le sue perdite demografiche, dovute questa volta agli espatri. E’ un fenomeno che riguarda in special modo i ragazzi laureati, 157mila dei quali hanno scelto di trasferirsi in regioni del Nord. La conclusione, secondo il rapporto ISTAT, è che “… le giovani risorse qualificate provenienti dal Mezzogiorno costituiscono dunque una fonte di capitale umano per le aree maggiormente produttive del Nord e del Centro del Paese e per i paesi esteri.”

In un simile scenario, non è nemmeno più possibile considerare l’emigrazione un rimedio doloroso ma in qualche modo salutare per i territori, come poteva scrivere Manlio Rossi-Doria alla metà del secolo scorso, perché consentiva di riequilibrare un rapporto sbilanciato tra sovrappopolazione e scarsità di risorse.

Era quella un’altra Italia, premoderna, la metà degli occupati lavorava in agricoltura, ora sono il tre e mezzo per cento. Nella fase storica che viviamo la perdita di abitanti corrisponde a un impoverimento netto, a un’erosione ulteriore della rilevanza che il Mezzogiorno ha negli equilibri nazionali.

Al tavolo dove si distribuiscono le risorse, dove già siamo soccombenti, alla fine è un circolo vizioso che rischia di autoalimentarsi, tra irrilevanza e ritardo di sviluppo, con la rete dei servizi essenziali che con le regole che si stanno decidendo, a partire dalla scuola, si sfilaccia e indebolisce sempre più.

Le aspettative per il cittadino non sono rosee. Ragionevolezza vuole che occorra tempo per invertire la rotta, servono “i cavalli dal fiato lungo” dei quali parlava sempre Rossi-Doria, con orientamenti e scelte perseguite tenacemente, superando le discontinuità e i cambi dei governi locali.

Tutto questo, per di più, in un contesto nazionale non favorevole. Nella nostra Costituzione sono scritti insieme i principi dell’unità della Repubblica, dell’impegno a ridurre le distanze tra persone e territori, dell’autonomia, ma il bilanciamento attuale è tutto a favore di quest’ultima, con i primi due ridotti a parole di circostanza. L’egoismo e il particolarismo prevalgono.

Sarebbe il momento giusto questo per considerare chi siamo veramente, non un deserto indistinto ma un mosaico di problemi e risorse, di aree di sofferenza, ma anche di cose che funzionano, e l’affermazione del Calcio Napoli può essere di stimolo e di esempio, di come sia possibile affermarsi ad armi pari, sul campo, puntando su un proprio modello organizzativo, un’applicazione, una strategia, uno stile di gioco.

E’ quello che dovremmo cercare di fare a una scala diversa, eludendo con scaltrezza lo spot fasullo nel quale molti vorrebbero relegarci: l’agricoltura e il turismo sono senza dubbio importanti, sono elementi di attrattività, ma da soli non bastano, quando va bene formano un quarto del pil, il resto lo fanno l’industria, la manifattura, i servizi, possibilmente non come li abbiamo pensati nel ‘900, sfasciando il paesaggio, ma con una visione e uno stile nostro, da proporre con coraggio, col fiato lungo, sui campi dove si gioca il destino del Paese.