Ora per i giornali sono diventati “alberi killer”. Gianni Rodari nel suo “La grammatica della fantasia” lo chiama “binomio fantastico”: il mettere insieme due parole che poco hanno in rapporto, per generare significati originali e inattesi. La semiotica ha i suoi meccanismi ferrei: l’associazione tra “albero” e “killer” fa interagire i campi di significato, e così il pino centenario di via Aniello Falcone si antropomorfizza, acquista una sua capacità inaspettata di aggressione ed offesa. La stessa cosa capita al fulmine o al Vesuvio, ma qui la cosa è diversa.

Chiunque allevi un pesce rosso, un canarino, un cane, un piccolo geranio o un albero di limone sa quanto impegno è necessario per curare quotidianamente la vita in un ambiente artificiale. Mantenere un albero centenario nel cemento della città richiede un’attenzione e una cura straordinaria. Se non si è capaci di questo, di  badare a questi elementi notevoli di qualità del paesaggio urbano,meglio rinunciare, perché l’annosa pianta, abbandonata a sé stessa, si trasforma effettivamente in un rischio.  Con esiti tragici, come successo per la giovane madre schiacciata nella sua auto nella strada più panoramica del Vomero.

Lo spiega bene Marco Demarco sul suo blog “Vedi Napoli”:  “…  a spezzarsi non è stato solo un albero, ma un pezzo di quel meccanismo complesso che garantisce il governo della città… Non ci sono più procedure certe, prassi consolidate. Non c’è più chi certifica e chi controlla. Nella consapevolezza che tutto sia ormai lasciato al caso … “.

E’ chiaro che non si tratta di fatalità ma di incuria, lasciamo da parte i giochetti semantici, il povero albero non c’entra proprio niente.

(vedi anche il post di Marco Demarco, “Noi e la città, cosa ci dice quel pino crollato in via Aniello Falcone , Corriere del Mezzogiorno on line, 12 giugno 2013).