E’ il titolo dell’articolo di Luca Rossomando pubblicato il 16 giugno sull’edizione napoletana di Repubblica. Racconta come, nel dedalo della periferia post-industriale, tra fabbriche dismesse e rioni di edilizia popolare, stiano fiorendo esperienze spontanee di recupero dei preziosi frammenti interclusi di terra, ciò che resta di un ecosistema e di una tradizione agronomica secolare legata ai fertilissimi orti umidi della piana del Sebeto. L’iniziativa parte da scuole pubbliche, comitati, semplici cittadini, naturalisti ed agronomi che prestano volontariamente la propria consulenza. Quella che emerge è una strategia silenziosa che, partendo dalla cura degli interstizi di terra  incastrati nel tessuto metropolitano – non più considerati come “spazio vuoto” destinato all’illegalità e al degrado –, attraverso l’impianto di aiuole, filari, orti e arboreti didattici, propone un percorso concreto di recupero della qualità urbana.

Scrive Luca in chiusura di articolo: “I tanti animatori – di tutte le età – di queste minuscole esperienze di cura dei luoghi in cui si vive, non costituiscono un’esclusiva della periferia nord della città. La loro esistenza, in questi e in altri luoghi, è una sommessa esortazione per molti: a chi di mestiere racconta la città ribadisce che ogni quartiere è un microcosmo complesso, da indagare e descrivere nei dettagli, senza fermarsi alla facile, pigra, a volte interessata dicotomia tra buoni e cattivi, tra demoni ed eroi. A chi amministra la cosa pubblica dice per l’ennesima volta che si può e si deve fare meglio del quasi nulla ce oggi si fa: che la qualità della vita negli spazi pubblici è – per estensione – anche un progetto di trasformazione della città, al momento disatteso e strumentalizzato; che l’organizzazione tra pari, il mutuo appoggio, l’attivazione dell’autostima dei più emarginati costituiscono obiettivi politici e mostrano, con chiarezza a volte commovente, che la città è in primo luogo di chi la abita, di chi lotta per migliorarla, di chi spesso in solitudine deve subirla e difendersene. Dopo, molto dopo, vengono i turisti, i grandi eventi e le chiacchiere sul “ritorno di immagine”.

Quei giardini nel cemento