Antonio di Gennaro, 11 marzo 2014
Sono circa 920 gli ettari della pianura campana a rischio, le aree agricole sulle quali si dovrà indagare per accertare eventuali contaminazioni da rifiuti. E’ questo il dato ufficiale fornito ieri a Roma, nel corso della conferenza stampa congiunta, con la quale i tre ministri Lorenzin (sanità), Martina (agricoltura) e Galletti (ambiente) hanno presentato, con il presidente della Regione Campania Caldoro, il rapporto della commissione di esperti insediata lo scorso dicembre col decreto “Terra dei fuochi”. I responsabili dei tre dicasteri hanno nell’occasione sottoscritto un decreto interministeriale, che dispone per queste aree l’effettuazione di indagini dettagliate sui prodotti agricoli, i suoli e le falde, da completarsi entro 90 giorni. Le analisi accerteranno l’eventuale necessità di adottare misure di contenimento del rischio, che potrebbero andare dal restringimento della gamma delle colture praticabili, optando per quelle a minore capacità di assorbimento/traslocazione dei potenziali contaminanti; alla fitodepurazione con colture non alimentari; sino alle tecniche tradizionali di bonifica (soil washing ecc.) per i siti a più elevata contaminazione. Ad ogni modo, lo screening effettuato dalla commissione di esperti ha evidenziato come le situazioni più critiche si restringano a una sessantina di ettari, nei comuni di Acerra (località Calabricito), Giugliano (loc. Masseria del Pozzo), Villa Literno (loc. Soglitelle), tutte situazioni già note, per lo più ricadenti nelle cosiddette “aree vaste” del piano regionale di bonifica, nelle due versioni del 2005 e del 2013. Solo per questi 60 ettari, il decreto interministeriale prevede opportunamente, a titolo precauzionale, il divieto immediato di vendita della produzioni agricole, nelle more delle indagini dirette che saranno effettuate nei prossimi 90 giorni.
I 920 ettari agricoli a rischio costituiscono lo 0,9% della superficie territoriale dei 57 comuni delle province di Caserta e Napoli interessati dal decreto “Terra dei fuochi”, che si estende complessivamente per circa 108.000 ettari. L’identificazione è avvenuta incrociando i dati geochimici disponibili (circa 2.500 campionamenti), con l’interpretazione delle foto aeree dell’ultimo ventennio, che ha consentito di identificare gli scavi e i movimenti di terra sospetti.
I dati ufficiali presentati nella conferenza stampa di ieri confermano quanto scritto nei precedenti articoli su questo giornale: le aree agricole della piana campana interessate dal problema rifiuti sono estremamente circoscritte e limitate, non è dunque lecito parlare di un degrado generalizzato. Il profilo ambientale che emerge per questi territori, è molto simile a quelli delle altre pianure italiane ed europee a comparabile grado di antropizzazione. D’altro canto, i risultati analitici della campagna straordinaria di controlli, attualmente in corso, confermano la totale sicurezza e salubrità delle produzioni agricole, perfino di quelle coltivate nelle aree sequestrate dalla magistratura a Caivano, per le quali si è infatti resa necessaria una sostanziale retromarcia. L’ecosistema agricolo, per grazia di Dio, è una macchina assai complessa, in grado di bloccare, con una molteplicità di meccanismi, il passaggio negli alimenti dei potenziali contaminanti.
Sin qui gli aspetti positivi, se così si può dire, della vicenda. Perché per il resto, il decreto “Terra dei fuochi” è figlio del tempo che viviamo, nel quale anche la produzione legislativa sembra mirare più all’annuncio e alla rassicurazione, che a produrre risultati concreti. Così, per l’esecuzione delle analisi di controllo sui 920 ettari, il decreto non stanzia un euro, né tantomeno propone un programma dettagliato delle indagini, rimandando la palla agli esperti e ai loro Enti di afferenza (CRA, ISS, ISPRA, ARPAC), che dovranno utilizzare propri fondi, a bilancio inalterato, con la Regione Campania chiamata alla fine a rimborsare il tutto, a piè di lista. Vedremo se con soluzioni tanto improvvisate si riuscirà a centrare l’obiettivo dichiarato, quello di completare, nel tempo breve dei 90 giorni, il lavoro di caratterizzazione delle aree a rischio.
Così come restano assai vaghe le misure per mettere una volta per tutte sotto controllo pubblico ciò che rimane dell’agro campano, la grande cintura verde intorno alla città, massacrata dal disordine urbanistico, dai piani casa, dalla speculazione sfrenata, prima ancora che dai traffici di rifiuti. Vanno bene le analisi, ma qui quello manca è il governo del territorio. In queste terre in disordine, le più fertili dell’universo conosciuto, una conoscenza che non sfocia in azione, come nell’Amleto, produce solo cattivi fantasmi.
Pubblicato su Repubblica Napoli del 11 marzo 2014.
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