Repubblica Napoli di oggi pubblica la lettera di Giacomo D’Alisa, economista ecologico dell’Università di Roma “La Sapienza”, di commento al mio articolo del 13 febbraio (pubblicato in Horatio post con il titolo “Il decreto va”). A seguire, la mia risposta.
Il giorno 13 Febbraio su Repubblica di Napoli è stato pubblicato un articolo sulla Terra dei Fuochi, a firma di Antonio di Gennaro. L’articolo ci informa che sono meno di sedici gli ettari altamente contaminati nei 57 comuni dove i roghi e gli interramenti abusivi dei rifiuti sono particolarmente frequenti. La coltivazione sarà vietata, in forma meramente precauzionale, solo in quei campi. Non possiamo che rallegrarci della buona notizia. L’estensione del territorio su cui s’interdice la coltivazione è irrisoria. Eppure, il tono della notizia mi lascia sconcertato. Si liquidano in un breve passaggio come polemiche tutte le voci che tendono a contestare i numeri offerti dal Ministero. Le polemiche mosse contro quel 2% del terreno a rischio segnalato dal governo mesi a dietro, sono oggi ancora più speciose, si lascia intendere. Poco più di un terzo di quel già misero 2% è contaminato. Un implicito invito a starsene tranquilli. La strategia della minimizzazione l’aveva definita Saviano. Sarebbe forse meglio definirla la strategia della mistificazione. Si, perché si mistifica se si vuol far credere che i roghi provochino prevalentemente inquinamento al suolo, quando invece gli inquinanti dei fuochi si disperdono soprattutto nell’aria. Si mistifica quando si continua trattare la questione dei roghi come una questione territoriale e non in quanto fenomeno socio-economico. Appiccare i roghi è una delle strategie usate per liberarsi dei rifiuti industriali. Il fenomeno dello smaltimento illegale dei rifiuti non può essere sminuito solo perché i danni accertati al suolo sono minimi, quanto ad estensione della contaminazione. Il fenomeno del traffico e dello smaltimento illegale dei rifiuti non riguarda solo quei 57 comuni indicati nel decreto. Non riguarda neanche solo l’Italia. Nel 2003 gli agenti dell’Europol hanno ribadito le loro preoccupazioni rispetto alla crescita della domanda di servizio illegale di smaltimento di rifiuti pericolosi in Europa. In una relazione presentata nel 2014, i funzionari dell’Eurojust, l’unità di cooperazione giudiziaria dell’UE, hanno evidenziato che i crimini ambientali sono in continua crescita e che quelli legati al traffico illecito dei rifiuti sono ancora troppo sottovalutati in Europa. L’Agenzia Ambientale Britannica ha dichiarato che almeno in 120 siti in Inghilterra e Galles si bruciano illegalmente i rifiuti per ridurne il volume. Secondo una società di consulenza britannica quasi il 70% di tossicità equivalente, che esprime la tossicità generale di diossine e assimilati alle diossine, immessa nell’area nel 2006 in Inghilterra dipendeva dai rifiuti bruciati e in particolar modo dai roghi tossici. Questo fenomeno conosciuto solo dagli addetti ai lavori fuori dall’Italia è, invece, largamente conosciuto, grazie alle denunce fatte dai movimenti campani, per merito delle urla lanciate dalle vittime dei roghi e dei sotterramenti illegali. Se alcune loro dichiarazioni assumono toni polemici non dovrebbe stranire. Minimizzare le richieste degli attivisti e delle vittime campane e mistificare il fenomeno dello smaltimento illegale dei rifiuti, invece, sono le vere azioni inaccettabili. In Campania possiamo ancora coltivare, possiamo ancora mangiare i frutti della nostra terra, ma dobbiamo ancora cominciare a combattere effettivamente il fenomeno del traffico illecito dei rifiuti. Giacomo D’Alisa
Non c’è nessun intento di minimizzazione, nel racconto degli ultimi sviluppi del decreto “Terra dei fuochi” fatto nell’articolo del 13 febbraio. La crisi della piana campana è un fenomeno a molte dimensioni, che è necessario affrontare distintamente, e con chiarezza, altrimenti si continua a fare solo confusione. I dati sinteticamente presentati nell’articolo si riferiscono ai controlli ministeriali sui suoli e le coltivazioni. Il teorema che legava rifiuti, agricoltura e salute pubblica – ricordiamo l’esposizione sull’altare dei pomodori di Caivano – è stato una volta per tutte confutato. Si conferma che le aree agricole della piana campana – 140.000 ettari, con 38.000 aziende che producono metà del valore aggiunto agricolo regionale – non costituiscono un centro di rischio ma un presidio produttivo e civile. Tutta quest’economia è stata messa in ginocchio da una propaganda infondata, creando le premesse per la desertificazione economica e sociale della grande pianura, da trasformare in terra di conquista per le forze speculative e criminali, e per il bluff delle bonifiche. Certo, rimane il fenomeno dei roghi, e qui il presidio militare può veramente poco se la galassia di manifatture dell’hinterland non è aiutata con politiche ad hoc ad emergere da una condizione di clandestinità. In verità, neanche per i rifiuti urbani possiamo stare tranquilli, il ciclo regionale è lungi dall’esser chiuso, come ho ricordato nell’ennesimo articolo pubblicato da Repubblica lo scorso 7 febbraio. Così come segna il passo la messa in sicurezza delle grandi discariche, le 6 “aree vaste” identificate da più di un decennio dal Piano regionale di bonifica, a partire dalla Resit di Giugliano. Queste discariche hanno costituito per un trentennio il principale recapito dei flussi combinati di rifiuti urbani e industriali. Nonostante tutti questi problemi, il profilo ambientale della piana campana continua sostanzialmente ad essere quello di un territorio agricolo (60%) ed urbano (40%), nel quale vivono stipati come possono quattro milioni di cittadini campani, i due terzi della popolazione regionale, con un gap economico che appare ormai irrecuperabile rispetto al resto del paese, e un drammatico “deficit di cittadinanza”, per usare lo slogan coniato da Fabrizio Barca per identificare il minor livello di servizi e assistenza che lo Stato è in grado di affire ai cittadini di queste aree per proteggere la salute del corpo e della mente. In questo contesto anche i dati epidemiologici dovrebbero essere interpretati correttamente. I dati dei Registri tumori, a partire da quello dell’ASL Napoli 3, nel quale ricade la Piana campana, dicono che non ci sono differenze con il resto del paese per quanto riguarda l’incidenza delle malattie tumorali, mentre la mortalità è di alcuni punti superiore. Ci ammaliamo allo stesso modo (all’interno di un trend comunque decrescente), ma moriamo di più. Di povertà e deprivazione si muore, ed è questo il vero scandalo al quale è necessario porre rimedio, altro che minimizzazione (la mistificazione, per cortesia, è meglio lasciarla da parte) (antonio di gennaro)
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