Antonio di Gennaro, Repubblica Napoli del 18 dicembre 2019

Questi ragazzi devi giudicarli da quello che fanno, più che da quello che dicono nelle ospitate televisive: riempire piazza San Giovanni dopo piazza Duomo e piazza Maggiore e piazza Dante a Napoli, partendo da un’improvvisata tra amici una trentina di giorni fa, non è impresa da poco. E soprattutto da quello che scrivono: se metti uno dietro l’altro i post della pagina facebook, vengono fuori tre-quattro cartelle niente male, dietro il linguaggio rapido e scanzonato, in filigrana c’è Piero Calamandrei, la cultura politica è quella giusta, il costituzionalismo democratico che ha restituito un senso all’Italia dopo l’abisso nazifascista.
Anche l’idea di riunirsi nel condominio occupato di via Santa Croce, dove è venuto l’elemosiniere del Papa a togliere i sigilli e riattaccare la luce, è un messaggio niente male. Resta da capire questo attivismo, sino ad ora baciato dalla fortuna, dove vuole andare a parare, e qui i pareri e gli ammonimenti fioccano. C’è il geografo Pancho Pardi, già leader dei girotondi, che mette in guardia dal movimentismo perenne che non si trasforma in proposta politica, un partito o qualcosa del genere: in mancanza di approdi, dice il professore, l’energia tende fisiologicamente a scemare e tutto, com’è successo ai girotondi prima o poi s’ammoscia. Luca Ricolfi va giù più duro, accusa i ragazzi di timidezza, se non vigliaccheria, per la scelta di non scendere (o salire, fate voi) nell’agone politico.
In realtà, quello che hanno in mente i ragazzi è qualcosa di più spericolato e ambizioso. Loro non pensano alla contro-democrazia di Pierre Rosanvallon, le forme di opposizione e controllo ai poteri democratici nei quali la gente non ripone più fiducia, anzi diffida: la strada che in Italia ha portato dritto al “Vaffa day”. Al contrario, le sardine vogliono preservarla questa fiducia nella politica e nei politici, l’unica cosa da fare secondo loro è prosciugare le paludi nelle quali il populismo sovranista prospera, bonificare lo spazio del dibattito pubblico dalle tossine e le paure gonfiate ad arte, attraverso l’uso cinico dei social network.
Insomma, quello che interessa loro non è probabilmente costituire o meno un nuovo partito, ma dotare permanentemente la democrazia ammaccata di una sorta di “sistema immunitario”, in grado di neutralizzare ed espellere violenza verbale, fake news e tossine . “Vaste programme” avrebbe detto il generale De Gaulle, e comunque è un’idea arrischiata, ai confini dell’utopia.
Le armi e gli strumenti dovrebbero forse essere quelli ai quali Tullio De Mauro ha dedicato la vita, la cultura degli italiani: il nostro Paese è in coda alla classifica nei rapporti Ocse sulla competenza linguistica degli adulti, la capacità di cogliere il senso di un testo di una decina di righe, e questo qualcosa pure conta, nelle scelte individuali, e nelle consultazioni pubbliche.
Ma i ragazzi vedono giusto, nel loro incontro di coordinamento nazionale hanno individuato il brodo di cultura del populismo nostrano, e quindi il principale spazio d’azione dei prossimi mesi, nei territori da troppo tempo orfani di politiche: le aree periferiche in dismissione, urbane e d’Appennino, nelle quali il lavoro e il welfare stanno morendo, i percorsi di vita non offrono nulla di buono, e la costruzione di un nemico, quale che sia, alla fine è l’unica illusione spendibile di riscatto. Territori di scarto che la sinistra rintanata nelle Ztl e nei quartieri-bene ha da troppo tempo depennato da agende e programmi di governo. Come andrà a finire questa storia nessuno lo sa, ma le idee che le sardine hanno rimesso in circolo tornano decisamente buone, soprattutto per il Mezzogiorno.