Antonio di Gennaro, Repubblica Napoli 25 luglio 2023

E’ un librino fondamentale per capire cos’è il paesaggio quello che Paolo Carpentieri, Carlo Iannello e Giancarlo Montedoro hanno scritto (“La concezione crociana di paesaggio nel diritto contemporaneo”, prefazione di Piero Craveri, Editoriale Scientifica, 112 pagine). E non fatevi sviare dal tono accademico del titolo: è un testo scritto semplice, godibile, che dovrebbero leggere tutti, e comunque ha ragione Piero Craveri quando scrive in prefazione che su questi temi “… molte cose sono state dette ma nessuna, a mio giudizio, con la profondità analitica di queste tre relazioni… in cui gli aspetti giuridici costituiscono un punto focale e hanno il necessario approfondimento.”.

Gli autori sono tre giuristi che al paesaggio hanno dedicato una parte importante della loro attività scientifica, istituzionale, didattica, ma sin dalle prime righe appare evidente al lettore come questo libro sia in qualche misura diverso da lavori precedenti, perché più di altri sembra nascere da un’urgenza democratica, in un momento storico nel quale il paesaggio italiano è sotto attacco.

Come ricorda Montedoro nel primo dei tre interventi, con i soldi del PNRR ci accingiamo a destinare una parte importante dei paesaggi rurali del Paese all’installazione di impianti industriali per la produzione energetica da fonti rinnovabili, ma “… la transizione energetica avviene senza il ricorso a strumenti di pianificazione territoriale. Si tratta di una grande lacuna legislativa suscettibile di produrre danni proprio a carico delle nuove generazioni che rischiano di non vedere più il paesaggio agrario pugliese o la dolcezza delle colline toscane, umbre o marchigiane nel loro aspetto tradizionale.”

Insomma, per la Repubblica italiana è un passaggio decisivo, considerato che la tutela del paesaggio, come scritto nell’articolo 9 della Costituzione, è uno dei valori e principi fondativi.

Si capisce bene allora come il ritorno a Croce non abbia nulla di nostalgico, accademico, elitario, ma risponda a un’esigenza del tutto pratica: quella di fare chiarezza sul significato autentico e sul valore originale e autonomo del paesaggio come patrimonio identitario, come modo di percepire, vivere, assegnare valore e significato ai luoghi che abitiamo – i territori rurali come le città – nella continuità di lunga durata della nostra storia e della nostra cultura.

Come scrive Carlo Iannello, è questa l’idea di paesaggio, attualissima, sulla quale Croce costruisce la sua legge del 1922, la prima che lo stato unitario riesce finalmente a darsi, vincendo le resistenze della grande proprietà fondiaria che si sentiva minacciata, affermando invece l’interesse pubblico che il paesaggio riveste, e la necessità ineludibile che lo Stato dica la sua sulle trasformazioni che riguardano il patrimonio culturale comune.

Si tratta, come emerge dall’excursus godibilissimo di Iannello, dei principi, delle basi concettuali sulle quali sono stati successivamente pensati e definiti tutti gli strumenti normativi che l’Italia si è data, dalla legge Bottai del ’39, al decreto Galasso dell’85, al Codice dei beni culturali del 2004, e delle quali anche la Convenzione europea del paesaggio siglata a Firenze nel 2000 alla fine è tributaria.

Certo, come sottolinea Paolo Carpentieri nel saggio finale del libro, rimane la difficoltà di regolare i rapporti non semplici tra tutela del paesaggio, governo del territorio e tutela dell’ecosistema, nel puzzle di competenze che la cattiva riforma del titolo quinto ha contribuito a esacerbare, ma non è confondendo queste cose diverse che il Paese salverà i suoi paesaggi: insomma, anche nella frenesia realizzativa del PNNR, è bene che il paesaggio come principio autonomo conservi la sua forza e ragion d’essere, e su questo il filosofo di Pescasseroli ha ancora maledettamente ragione.