Antonio di Gennaro, Repubblica Napoli 23 marzo 2020

Primavera non bussa, lei entra sicura, canta la Spoon River di De André, e schiudono le minuscole mani verdi dei germogli del tiglio sotto casa, ma è questa forse l’ora più buia, il pensiero che le cose che stiamo facendo possano non bastare ancora.

Chiusi in casa siamo in sei, una piccola comunità. I ragazzi seguono on line i corsi dell’università, ostentano calma, ma è difficile, a pranzo e a cena tutt’insieme, tenere la conversazione leggera, positiva, che non sia solo il rimestare discorsi spezzati intorno al flusso ininterrotto di immagini di guerra.

Mi sforzo di continuare il mio lavoro inessenziale, una riunione skype dopo l’altra, mando relazioni in giro, lunghe telefonate, mentre fuori la storia la stanno facendo medici e infermieri, i lavoratori dei servizi e delle produzioni strategiche, quelli che tengono comunque a posto la città, e lo Stato in piedi.

Viviamo tronfi con l’idea di cambiare almeno un po’ il mondo, ma è il mondo che cambia noi e ristabilisce in un attimo le priorità. Ci voleva una tragedia come questa per sospendere il patto di stabilità, per capire che è la vita, quella biologica e fragile, breve e preziosa, che va protetta, e non i flussi belli e morti di cartamoneta. L’ha scritto Eschilo duemilacinquecento anni fa, “… non è nulla una torre o una nave, se non abbia gente dentro, che sia deserta d’uomini”.

Ora sappiamo che l’obiettivo è proteggere le persone, in questo mondo tremendamente interconnesso, con le informazioni e i virus che si spostano in un batter d’occhio. Quei criteri stupidi d’efficienza, che ci hanno costretto a tagliare la sanità proprio dove ce n’era più bisogno, è evidente che dopo non comanderanno più, e non ci sarà nessuna mano invisibile a mettere a posto le cose, dovremo pensarci noi.

Lo dice bene l’editoriale di sabato del New York Times che  “… la soluzione necessaria è un grande accordo: il governo fornisce i soldi che le aziende non sono in grado di guadagnare e le aziende usano i soldi per mantenere i lavoratori sul libro paga… Inviare assegni a ogni cittadino. Prestare denaro a tutte le imprese. Rafforzare la rete di sicurezza sociale. Il rischio di fare troppo è notevolmente superato in questo momento dalle conseguenze del non riuscire a fare abbastanza.” Il punto di arrivo alla fine è Keynes. La Germania si sta muovendo così, senza indugio, un decimo del PIL viene messo a disposizione per uscire dalla crisi. “La risposta corretta in questo momento è questa “ chiude il NYT, “Tutte queste cose insieme”.