
Antonio di Gennaro, Repubblica Napoli del 12 marzo 2022
Stando alla sentenza della dodicesima sezione del Tribunale di Napoli, la Repubblica italiana (Comune di Napoli) deve risarcire allo Stato (Fintecna) 80 milioni di euro per la cessione dei suoli di Bagnoli. Non è una partita di giro, ma una questione cruciale di democrazia. Per trovare le parole meglio affidarsi al Devoto-Oli, alla voce “kafkiano” è scritto: “relativo allo scrittore e alla sua opera caratterizzata da un’atmosfera di incubo e da un angoscioso pessimismo esistenziale; incomprensibile, assurdo, cervellotico”. Proprio così, la faccenda di Bagnoli è un incubo dal quale non riusciamo a liberarci, che ci intride di pessimismo, e stentiamo ancora a comprendere.
Trent’anni fa, cessate le attività produttive, la città aveva deciso con procedure democratiche che quelle aree, dopo un secolo di siderurgia, andavano restituite a una più diversificata vita urbana. Dopo l’approvazione del piano regolatore, nel 2006, ci fu una transazione tra il Comune e la proprietà dei suoli, che era di Fintecna, la società nata negli anni ’90 per gestire la dismissione dell’IRI, e che è ora controllata da Cassa Depositi e Prestiti, quindi dal Ministero dell’Economia.
Ora, come ci ha raccontato Alessio Gemma nei suoi articoli dei giorni scorsi, a distanza di 16 anni, una sentenza di tribunale dice che il Comune non ha onorato quell’accordo, condannandolo a risarcire Fintecna con un’ottantina di milioni. Una partita finanziaria che, in questo momento critico per il governo cittadino, è in grado di deciderne la vita o la morte.
D’accordo, si tratta di sottigliezze giuridiche assai complesse. Nessuno si sogna di mettere in discussione lo stato di diritto, né tanto meno il sistema pluralistico e policentrico che è alla base della nostra democrazia. Però santo Iddio, stando alla Costituzione, una differenza deve pur esserci tra un ente di governo territoriale – il Comune – che è uno dei soci costitutivi della Repubblica, per il quale andiamo a votare, che gestisce le scuole e la città nella quale viviamo, e un residuato di società pubblica della quale non è più neanche ben chiara la missione, che sarà pure parte dello Stato, senza rispondere a un chiaro interesse generale, ma solo a sé stessa, e al suo indistruttibile istinto di sopravvivenza.
“Incomprensibile, assurdo, cervellotico” dice il Devoto-Oli; paradossale aggiungiamo noi, perché un ruolo chiave in questa vicenda lo ha Invitalia, un’emanazione anch’essa di Cassa Depositi e Prestiti. La strampalata legge Sblocca-Italia del 2014 ha individuato proprio Invitalia come soggetto attuatore della bonifica di Bagnoli, trasferendo a lei la proprietà dei suoli. Così la foto di famiglia si ricompone, Invitalia discende in linea diretta da robe come Fintecna, costituendone l’ultima più aggiornata reincarnazione.
Il sindaco eletto Gaetano Manfredi, ora anche commissario di governo per Bagnoli, ha opportunamente preannunciato ricorso contro la sentenza del tribunale, ma la vicenda come detto è politica: una decisione di buon senso da parte del governo si impone, è un atto dovuto nei confronti della terza città d’Italia, in un momento drammatico della sua esistenza.
Come il sindaco ha ribadito, è ingiusto far pagare i cittadini, per una bonifica infinita, maldestra, che è già costata centinaia di milioni, senza nessun giovamento per la città. I lettori conoscono la posizione che questo giornale ha sostenuto in tutti questi anni. La parola “bonifica” a Bagnoli andrebbe proibita per legge. Come in tutti i paesi civili, è la messa in sicurezza l’obiettivo da perseguire, con sobrietà di mezzi, tempi, obiettivi. Il Testo unico ambientale, se correttamente inteso e applicato, dice proprio questo.
I problemi a terra ancora da risolvere sono limitati, grazie a Dio, e qui un segnale andrebbe dato: non è mai troppo tardi, dopo trent’anni di chiusura, per aprire finalmente i cancelli, una passeggiata attraverso l’area, un giorno di maggio, dalla Porta del Parco sino al mare, i cittadini e il sindaco in testa, in un gesto simbolico ma necessario di riappropriazione di un pezzo di città che è nostro.
Per il mare, invece, è necessario bloccare l’idea folle di mettere mano ai fondali, col dragaggio e lo scombino finale dell’ecosistema, riportando in sospensione i sedimenti inquinati. Solo per studiare questa cosa, Invitalia ha nei giorni scorsi affidato uno studio monstre da 16 milioni. Sono cifre con le quali si producono asili e ospedali, non tabelle di analisi e referti inutili, tanto più che le condizioni ambientali dei fondali, come dimostrato da autorevoli studi indipendenti, sono le stesse da S. Giovanni sino al Golfo di Pozzuoli.
Quanto poi alla riconfigurazione della linea di costa e alla rimozione della colmata, una riflessione laica, trasparente deve essere fatta, considerando realisticamente le condizioni di fattibilità, tecnica ed economica. Programmare in democrazia vuol dire anche riflettere e riconsiderare le priorità, quando le cose cambiano, facendo quello che è più giusto fare, nel mondo nuovo nel quale ci troviamo a vivere.
2 commenti
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13/03/2022 a 08:24
Fabrizio Cembalo
Ho letto ieri il commento di Umberto. “Ha ragione di Gennaro aprite i cancelli” Bravo è una vergogna
13/03/2022 a 20:24
Antonello Pisanti
Io credo che la “messa in sicurezza” o la cosiddetta “bonifica” di Bagnoli a distanza di trenta anni dal fermo dell’ ILVA siano dei “non problemi”. Un industria di quella tipologia per definizione INQUINA (l’aria) o meglio è nociva alla salute di chi ci lavora e/o vi abita , solo e quando è pienamente attiva . Addirittura a Taranto (paradossalmente) si arriva ad ipotizzare che con alcuni interventi “qualificati” (naturalmente costosissimi) si riuscirebbe a coniugare la continuità dell’attività industriale con la la Sicurezza per la salute dei lavoratori e degli abitanti della zona. Allora io dico: se tutto ciò è possibile a Taranto dopo tantissimi anni di attività ed addirittura con un “non fermo” della stessa, come è possibile affermare che un impianto fermo e “spento” da trenta anni possa essere “INSICURO” e “NOCIVO” alla salute ?. Ancora : non mi risulta che, ad eccezione di coloro che all’epoca lavoravano o abitavano a Bagnoli , OGGI ad attività spenta da trenta anni , vi sia un aumento di qualsiasi tipo di patologia . Non risulta, ad esempio, che tra coloro che frequentano regolarmente il CIRCOLO NAUTICO ILVA o tra coloro che da anni ormeggiano imbarcazioni o fanno regolarmente il bagno nello specchio di mare antistante i vecchi stabilimenti si verifichino particolari patologie attribuibili ad inquinanti , o comunque in misura maggiore che nella popolazione generale. Infine mi domando : esistono studi epidemiologici che comparino la prevalenza di patologia specifica prima e dopo la chiusura degli stabilimenti di Bagnoli ? Io credo che se non si parte da questi studi ogni tipo di ipotesi di cosiddetta “messa in sicurezza” sia assolutamente “campata in aria”.