Antonio di Gennaro, 8 luglio 2014

Davvero quanti luoghi comuni, affermazioni non verificate, imprecisioni nell’articolo di Roberto Saviano pubblicato su “Repubblica” il 5 luglio scorso (“La verità (in ritardo) sulla Terra dei Fuochi e quelle risposte da dare ai suoi martiri”).

Contrariamente a quanto si afferma nell’articolo, l’aggiornamento dello studio “Sentieri” non fornisce prove del legame, nei 55 comuni presi in esame, tra malattie tumorali e la presenza di siti di smaltimento illegale di rifiuti. Lo dice chiaramente la nota esplicativa diramata dall’Istituto superiore di sanità sul proprio sito web, il giorno successivo la pubblicazione dello studio, nella quale si legge che la metodologia impiegata “… non consente, in linea generale, la valutazione di nessi causali”, mentre le patologie prese in considerazione ” …sono peraltro ad eziologia multifattoriale e l’inquinamento può concorrere o esserne causa.” Spiega la dottoressa Musumeci, coordinatrice dello studio, in una sua dichiarazione a Repubblica del 5 luglio: ” Lo studio fatto è di tipo “ecologico”, cioè ha analizzato la popolazione nel suo insieme. È come avere fotografato la realtà dall’elicottero, ma per stabilire il nesso di causalità bisogna scendere a terra.”

Secondo l’epidemiologo Mario Fusco, direttore del Registro tumori dell’ASl Napoli 3, nella quale ricade circa 1,2 milioni di cittadini della piana campana, buona parte della cosiddetta Terra dei fuochi, le modalità di presentazione e interpretazione dei dati dello studio “Sentieri” costituiscono “un grave atto di disinformazione scientifica”. Nella sua intervista a “Repubblica” del 5 luglio, Fusco lamenta come, delle due tabelle fornite dal Registro tumori all’Istituto superiore, sia stata pubblicata nello studio solo quella relativa ai 17 comuni ricadenti nell’elenco governativo, e non la seconda, con i dati dei 18 comuni che non ne fanno parte, che presentava andamenti simili alla prima. In poche parole, “Sentieri” omette di dire una cosa non proprio irrilevante, e cioè che l’andamento delle malattie tumorali nei comuni della Terra dei fuochi è simile a quella nei comuni che non ne fanno parte.

Per inciso, in Campania sono attivi 3 registri tumori, che coprono circa il 55% della popolazione regionale.

In una precedente intervista dell’ottobre 2013, sempre a “Repubblica”,  Fusco aveva spiegato come, nei 58 comuni ricadenti nel Registro tumori dell’ASl Napoli 3, tra i quali Acerra, Casalnuovo, Marigliano, Nola, Terzigno, si registra ” un’incidenza oncologica globale inferiore. I nostri dati sono stati confrontati con quelli rilevati dal pool dei 38 registri tumori italiani”. Il problema è che, a fronte di un’incidenza più bassa, il tasso di mortalità è uguale e “… questo si spiega con le diagnosi tardive di malattia in fase avanzata e quindi con prognosi peggiore. E poi le difficoltà di accesso ai servizi da parte delle fasce deboli,e la diseguaglianza dei percorsi diagnostico-terapeutici».

Mario Fusco ha ribadito queste affermazioni in un suo intervento al convegno organizzato dalla task force “Pandora” lo scorso 26 giugno a Città della Scienza.

Sempre nell’articolo di Roberto Saviano del 5 ottobre si afferma che il disastro ambientale della piana campana “… ha avvelenato pesche, albicocche, pomodori, arance, mandarini, mandorle, mele annurche, il latte di bufala”. Si tratta di un’affermazione priva di ogni fondamento scientifico. Le produzioni agricole della piana campana costituiscono il 40% del valore aggiunto agricolo della regione. In larga misura esse sono acquistate dalla grande distribuzione organizzata, e commercializzate in Italia e in Europa.

Proprio in Europa esiste, a livello comunitario, un’Autorità europea per la sicurezza alimentare che gestisce, in collaborazione con gli stati membri, un sistema di allerta rapido che si chiama RASFF. Se, per ipotesi, una partita di fragole prodotte da un nostro agricoltore di Parete, e commercializzata in un supermercato di Francoforte, risultasse non a norma, scatterebbe nel giro di 24 ore l’allarme, con sequestri e denunce.

E’ singolare il fatto che in questi anni neppure un allarme rapido sia scattato per produzioni provenienti dalla Terra dei fuochi o dalla Campania.

Sulla sicurezza delle produzioni alimentari della piana campana ha recentemente indagato il Global Gap, l’associazione non governativa che ha definito gli standard di qualità adottati da tutte le centrali europee della grande distribuzione, dopo la denuncia di un consumatore tedesco, giungendo a conclusioni del tutto rassicuranti.

Anche le due maggiori catene italiane, COOP e Esselunga, hanno monitorato capillarmente le produzioni della Terra dei fuochi, con rapporti interni che escludono qualunque problema per le produzioni dell’area. La Coop, differentemente da Esselunga, ha scelto di render pubblici i risultati del suo studio.

In ultimo, il programma di monitoraggio messo a punto da Regione Campania, Federico II, Istituto zooprofilattico, ha sino ad oggi campionato e sottoposto ad analisi più di 1.500 campioni di ortaggi coltivati nella Terra dei fuochi. Nemmeno un campione è risultato positivo.

Insomma, c’è una convergenza di dati che conferma l’assoluta salubrità delle produzioni agricole della piana campana. Nonostante ciò, affermazioni infondate hanno causato un crollo delle vendite del 35-40%, un’ecatombe commerciale, con le aziende agricole che chiudono, e i suoli agricoli che si rendono disponibili per le speculazioni della criminalità organizzata.

Quanto al 2% di aree sospette, per le quali bisognerà procedere a ulteriori controlli, che dire. Il fatto che le indagini svolte abbiano evidenziato la presenza di 1.500-2000 ettari agricoli “a rischio” non significa minimizzare niente ma, all’opposto, quantificare un danno ecologico immane, con un’area di attenzione pari a 10 volte quella della bonifica di Bagnoli.

I fenomeni territoriali e sociali sono eventi complessi. La crisi della piana campana lo è in modo particolare. Nessuno di noi possiede le competenze per un’analisi esaustiva e definitiva. Occorre avere l’umiltà e l’intelligenza di ragionare e lavorare insieme. Si tratta di un grande processo di apprendimento collettivo. Nella consapevolezza che nessuno di noi può aver ragione sempre e su tutto: il segmento di conoscenza controllato da ciascuno è limitato.

Quando parliamo della storia e del funzionamento delle organizzazioni criminali l’autorità di Roberto Saviano è fuori discussione. E’ vero però che le conseguenze ecologiche e sanitarie dei fatti criminali non sono meri corollari, conseguenze semplici e lineari che è possibile aprioristicamente dedurre a tavolino a partire da essi. Si tratta di cose che vanno verificate, misurate, sapendo che il funzionamento degli ecosistemi è una cosa complessa.

Analizzare sul campo i fatti ecologici non significa per nulla negare i fatti sociali e criminali che sono stati faticosamente accertati. Interpretare correttamente i dati sulla salute degli uomini e degli ecosistemi agricoli della Terra dei fuochi non significa minimamente sminuire, circoscrivere o relativizzare la gravità dei crimini commessi, come anche la necessità impellente di politiche pubbliche adeguate.

E’ evidente però che per uscirne fuori, per un progetto di ricostruzione della società e del suo territorio, non c’è bisogno di maledizioni bibliche, di un surplus di terrore.