Antonio di Gennaro, Repubblica Napoli del 29 marzo 2017

Avranno anche ragione i commentatori più pacati e riflessivi a dirci che non bisogna fare troppo gli schizzinosi, che dietro il populismo ci sono istanze e problemi reali, e che anche da Trump potrà venire qualcosa di buono, ma c’è pure un limite alle fanfaronate: il patto sociale può accettare smagliature e rattoppi, ma se si lacera definitivamente sono guai seri per tutti. Ora, con le dichiarazioni del Sindaco sui debiti del comune, questo limite rischia di essere veramente superato.

La democrazia e la convivenza si basano alla fine, al di là dei codici e delle leggi, su un semplice, banale criterio per giudicare l’accettabilità di un’azione, che è quello di domandarsi come sarebbe il mondo se anche gli altri si comportassero allo stesso modo. Immaginate ora cosa accadrebbe al Paese se davvero passasse l’idea stravagante del Sindaco, di affidare ad una commissione di inchiesta, da lui nominata, il compito di decidere unilateralmente sulla liceità dei debiti e degli impegni economici ereditati dal passato, con buona pace dei tribunali e della magistratura contabile.

Se tutti facessero così, si aprirebbe una gara tra le migliaia di enti territoriali di ogni ordine e grado a ripudiare i fardelli sgradevoli del passato, alla fine lo stesso debito pubblico nazionale resterebbe orfano, senza garanti, e ci troveremmo di colpo dalle parti dello stato libero di Bananas, o sulla nave dei folli di Bosch, ben al di là comunque dei più arditi sogni di Salvini. E’ evidente che non stiamo parlando di soldi ma di istituzioni democratiche: se le parole del Sindaco fossero vere, e non una boutade, il patto repubblicano ne uscirebbe annichilito, per sempre.

Il problema della pesante eredità del passato c’è, eccome, e il Sindaco fa senz’altro bene a dialogare col Governo su queste cose, a pretendere per i cittadini dell’area napoletana una spesa pubblica pro-capite comparabile con quella del centro-nord. Resta il fatto che tutto risulterebbe più credibile se un lavoro di risanamento in casa propria fosse stato intrapreso, se la macchina micidiale che continua a produrre debito fosse stata messa finalmente sotto controllo, ma poco o nulla di questo è stato fatto. Gli organici delle partecipate, che consumano metà del budget della città senza fornire ai cittadini uno straccio decente di servizio, hanno continuato a gonfiarsi, proprio con gli stessi sistemi di ieri. L’ingentissimo patrimonio immobiliare del Comune continua a non dar frutto, anzi a produrre esso stesso ulteriore debito, e così è per le altre voci del bilancio comunale, devastato da decenni di clientelismo.

Al di là delle stravaganze e dei colpi di genio, continuiamo ad avere disperatamente bisogno di una capacità di amministrazione e di governo. Il compito di ciascuno di noi resta quello di prendere sulle spalle la responsabilità di un Paese e di una città, così come ci vengono consegnati, e di mettercela tutta per cercare di invertire la rotta. In questa brutta storia la continuità amministrativa e il rispetto delle regole non sono un optional, ma un impegno irrinunciabile, la condizione per ogni nuova idea di giustizia sociale. Se invece di lavorare iniziamo a rompere i vetri della casa, stiamo magari facendo una campagna elettorale frizzante e piena di spirito, ma il nostro destino è mestamente segnato.

Pubblicato con il titolo: “Il populismo e il buongoverno”